Colore: verde come erba.
Luogo in cui ascoltarla: un prato di sera
Con chi ascoltarla: da solo
Frase:
“It’s not a cry that you hear at night
it’s not somebody who’s seen the light
it’s a cold and it’s a broken hallelujah”
Sensazioni:
Credo di ricordare moltissime delle volte in cui ho ascoltato questa canzone. Forse è per me quella che più fa risaltare ciò che le sta intorno, il tempo in cui mi raggiunge.
La prima impressione che ti coglie è quella del respiro di Jeff, ancora prima dell’inizio della chitarra. è solo, e tu sei solo. Ci siete solo voi due.
E invece no, c’è anche la sua chitarra che si frappone tra voi. Mozza il respiro di Jeff e si fa strada nelle tue orecchie. E tu sei abituato a molte chitarre, anche a chitarre pesanti. Ma questa è un sussurro freddo, che entra nel naso come il respiro d’inverno.
Poi il ghiaccio si sgela, come capita in molte canzoni di Jeff. E allora inizia la sua voce.
Sei anche abituato a cantanti con belle voci. Ti abitui facilmente. Ma a questo tono, a questa forza trattenuta a stento eppure vivissima, non ti abitui mai. Come alle cose che dice.
Sei lì a pensare come si possa pronunciare una parola così difficile – Hallelujah – senza scadere nel banale. Jeff te lo dice. Te lo canta, e ogni volta che lo pronuncia è diversa dalla precedente. Facci caso. L’interpretazione di quella parola non è mai per una volta ripetuta, ogni volta dice qualcosa di diverso.
Questo introduce al senso, alle mille maniere di intendere un Hallelujah e di sospirarlo.
E dunque forza, unisci divino e umano. Apriti al molteplice. Impara da Jeff come l’amore terreno – anche il sesso – meriti di essere celebrato, in un carillon vortiginoso che sale e scende fino a confondere radici e foglie – fino a farci restare muti, con appena il fiato di dire Hallelujah.
(i post di “Impressioni” vengono da un mio altro blog che potete trovare qui)